Un
primo sguardo sul Summit di Ilaria Di Bella |
Una “Dichiarazione Politica” di intenti e un “Piano d’azione”,
che in 10 capitoli e 148 paragrafi delinea la direzione di marcia e gli obiettivi
per perseguire pace, prosperità e tutela delle risorse ambientali sul
pianeta nei prossimi decenni. Ma soprattutto la firma, da parte Russia, Cina
e Canada, del Protocollo di Kyoto contro le emissioni inquinanti.
Sono questi gli esiti del World Summit on Sustainable Development (WSSD), che
si è tenuto dal 26 agosto al 4 settembre 2002 a Johannesburg in Sudafrica.
L’adesione all’accordo per la riduzione delle emissioni dei gas
serra da parte di un grande Paese occidentale come il Canada, e di due nazioni
che stanno sviluppando un’economia di mercato a colpi di combustibili
fossili come Cina e Russia è un successo indiretto del Summit, perché
Kyoto non rientra nelle Dichiarazioni né nel Piano d’Azione di
Johannesburg se non come un generico invito all’adesione, per espresso
volere degli USA che non lo hanno mai sottoscritto. La firma è un enorme
passo avanti, perché i consumi della Cina potrebbero pesare da soli sugli
equilibri della Terra molto più di quelli di tutti gli altri stati messi
insieme.
I temi e gli obiettivi del vertice
Quali erano gli obiettivi che l’Onu si proponeva di raggiungere con il
vertice di Johannesburg? Sostanzialmente quattro.
Povertà: dimezzamento del numero dei poveri
entro il 2015.
Un miliardo e 200 milioni di persone nel mondo vivono al di sotto della soglia
di povertà, cioè con meno di un dollaro americano al giorno, e
circa la metà della popolazione mondiale sopravvive con meno di due dollari
al giorno.
Energia: modernizzazione dei servizi energetici,
cui sono legati il Protocollo di Kyoto e gli altri accordi per la diminuzione
dell’inquinamento atmosferico.
Nei Paesi in via di sviluppo, circa 2 miliardi di persone bruciano ancora legna,
carbone e biomassa, con gravi danni ambientali e sanitari.
Acqua: un tema che nell’agenda del Summit
ha avuto un ruolo prioritario solo all’ultimo minuto per l’insistenza
del Sudafrica, Paese ospitante.
“L’acqua è un diritto per tutti, l’acqua è democrazia”
ha detto Nelson Mandela al vertice, che ha ospitato tra l’altro una mostra,
il “Waterdome”, interamente dedicata all’acqua e alla “sanitation”,
i servizi igienici, alle tecnologie per renderla pulita e potabile, all’educazione
sanitaria e ai progetti di cooperazione allo sviluppo. Allo studio del Summit
c’era un progetto da 120 miliardi di dollari per portare l’acqua
a chi non ce l’ha. Per comprendere l’emergenza: 1,5 miliardi di
persone nel mondo non hanno accesso all’acqua potabile, 2,5 miliardi non
dispongono di impianti fognari adeguati. La mancanza di acqua potabile e l’igiene
scadente fanno ogni anno nel mondo 5 milioni di morti, soprattutto bambini.
Agricoltura: i Paesi in via di sviluppo chiedono
aiuti, ma soprattutto la possibilità che i propri prodotti accedanpo
ai mercati dei Paesi occidentali, i quali invece continuano a stanziare circa
350 miliardi di dollari all’anno per sovvenzionare le coltivazioni di
casa, i cui prodotti vengono protetti attraverso dazi doganali.
Altri temi del Summit: la difesa della biodiversità, il controllo delle
sostanze chimiche pericolose, il diritto alla salute.
Tutto il vertice ha sottolineato come lo sviluppo sostenibile sia un problema
con quattro dimensioni interdipendenti: la dimensione ambientale, quella sociale,
quella economica, quella del rispetto dei diritti umani fondamentali. Non è
possibile tutelare l’ambiente e le risorse del pianeta senza creare condizioni
di vita dignitose per tutti gli esseri umani e senza ridistribuire la ricchezza.
“Bisogna ammettere una verità scomoda – ha detto Kofi Annan
– sarà presto chiaro che raggiungere la prosperità devastando
l’ambiente e lasciando la maggior parte dell’umanità nella
miseria, è una strada senza uscita”.
Cosa è successo: lo scontro tra due visioni
del mondo e dello sviluppo
A Johannesburg si sono confrontate e scontrate due visioni del mondo, dell’economia
e dello sviluppo. Da un lato quella dell’Unione Europea, interpretata
dal presidente della Commissione Romano Prodi, dall’altra quella degli
Usa.
L’UE ha sempre sostenuto la necessità che la comunità internazionale
adotti impegni legati a scadenze precise, come ad esempio il Protocollo di Kyoto,
senza lasciare il compito della regolazione al mercato.
Confermando l’impegno dell’UE a stanziare lo 0,39% del PIL per l’assistenza
allo sviluppo entro il 2006, Prodi ha sottolineato come “tocca ai Paesi
industrializzati prendere l’iniziativa e passare a modelli di produzione
e di consumo che possano assicurarci un futuro sostenibile. Ma ciascuno deve
fare la sua parte”. E ha aggiunto: “non credo al motto ‘commercio
e non aiuto’, credo al motto ‘commercio e aiuto’. La situazione
è così disperata che non basta aprire solo i mercati. Dobbiamo
aprire anche i portafogli”. Fedele a questa linea, a vertice praticamente
chiuso il commissario all’Ambiente Margot Wallström ha definito i
risultati “superiori alle aspettative, viste le premesse”, ha chiarito
che “serviva un rilancio delle tematiche ambientali, e questo è
successo”, ed è passata subito al rilancio: sul fronte dell’energia
e dell’acqua, l’Unione Europea si impegnerà ad andare oltre
Johannesburg, insieme ai Paesi che vorranno farlo.
Di tutt’altro avviso gli Usa, che alla conferenza hanno parlato per bocca
del segretario di Stato Colin Powell e non del Presidente Gorge W. Bush, grande
assente annunciato. Powell ha pronunciato il suo discorso l’ultimo giorno,
tra i fischi delle organizzazioni non governative, soprattutto americane, e
dei delegati dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto africani.
“Vogliamo azioni non retorica”, così Powell ha sintetizzato
la posizione seguita dalla delegazione americana al vertice, che non ha concesso
una virgola sul fronte dei “target” per l’adozione di tecnologie
energetiche pulite e sulla diminuzione delle emissioni inquinanti. Powell ha
sottolineato un altro principio con cui gli Usa interpretano la sostenibilità:
“il commercio – ha detto – è il motore dello sviluppo”.
Per gli americani, infatti, il modo più efficace di perseguire lo sviluppo
sostenibile è attraverso il mercato, cioè attraverso la partnership
e gli accordi commerciali delle imprese e delle multinazionali che fanno affari
nei Paesi poveri, e che quindi trasferiscono tecnologie e conoscenze. Gli Stati
Uniti stanzieranno comunque, con quello che hanno chiamato il “Millenium
Challenge Account” avviato nel marzo scorso, 970 milioni di dollari in
tre anni per l’acqua e una pioggia di investimenti in rapporti bilaterali.
In totale gli Usa arriveranno a stanziare lo 0,15% del PIL in aiuti allo sviluppo.
Il Summit, atmosfera e risultati
L’atmosfera
La firma dei due documenti ufficiali da parte dei 189 Paesi partecipanti
al Summit è arrivata dopo dieci giorni di estenuanti trattative, condotte
dal cosiddetto “Vienna setting”, il gruppo ristretto composto dai
delegati di Stati Uniti, Unione Europea, Russia, Canada, Giappone e Paesi in
via di sviluppo, in attesa dell’arrivo dei capi di stato e di governo.
Per avere un’idea dell’atmosfera a Jo’burg, basti pensare
che erano 13 mila i delegati accreditati ufficialmente dall’Onu, 64 mila
gli operatori presenti (oltre ai delegati, gli ambientalisti, gli ospiti, i
diplomatici, le imprese), 5 mila i giornalisti, quasi 160 i leader che hanno
preso la parola nell’assemblea plenaria.
Migliaia le iniziative parallele, tra seminari, corsi, dibattiti, incontri.
Nei vari spazi espositivi, centinaia gli stand di ministeri, agenzie, associazioni,
imprese; in mostra tutto lo scibile umano in materia di sostenibilità:
programmi, tecnologie, sistemi di gestione, strumenti di riforma della governance.
Le organizzazioni non governative si sono date appuntamento per il controvertice
nell’area del Nasrec, messa loro a disposizione dal governo di Tabo Mbeki
a circa 30 chilometri da Sandton, dove si svolgeva la Conferenza superblindata.
Prima dell’arrivo dei leader del mondo, anche Jo’burg ha avuto le
sue manifestazioni anti-conferenza, come Seattle e Genova. In Sudafrica la dimostrazione
più dura è arrivata dai senza terra, gli abitanti delle baraccopoli
di Alexandra e Soweto (township originaria di Mandela e ora parzialmente recuperata),
gli estremisti di sinistra che accusano l’African National Congress del
presidente sudafricano di non avere restituito la terra ai contadini neri, con
al fianco gli agricoltori di mezzo mondo, i rappresentanti delle associazioni
ambientaliste e la galassia variegata dei noglobal proveniente dai quattro angoli
del pianeta. In pratica il grido è stato: invece di parlare di noi, venite
a vedere come viviamo, e vi renderete conto di quali sono i nostri bisogni.
Ad Alexandra, e in parte anche a Soweto – provare per credere –
la gente vive nelle baracche, e vuole semplicemente acqua corrente e pulita,
servizi igienici, corrente elettrica, un lavoro.
I risultati
Questi i principali contenuti del Piano di Azione, approvato nella notte del
3 settembre.
Diritti umani. La promozione e il rispetto dei
diritti umani assumono, nel Piano d’Azione di Jo’burg, il ruolo
di criterio essenziale nelle strategie per la riduzione della povertà,
la protezione della salute, la conservazione e la gestione delle risorse naturali.
Promozione dell’accesso delle donne a tutti i processi decisionali, sulla
base del principio di uguaglianza. Eliminazione della discriminazione e delle
varie forme di violenza sulle donne. Impegno ad adottare misure immediate ed
efficaci per eliminare lo sfruttamento del lavoro minorile. Riconoscimento degli
standard e dei principi stabiliti dall’Organizzazione Internazionale del
Lavoro (ILO) per la protezione dei diritti dei lavoratori.
Lotta alla povertà. È stato confermato
l’obiettivo del Millennium Summit dell’ONU: dimezzare entro il 2015
il numero di persone con un reddito inferiore a 1 dollaro americano.
Protezione della salute. Approvati gli impegni
per ridurre, entro il 2015, di due terzi la mortalità infantile sotto
i cinque anni e di tre quarti la mortalità da parto (rispetto ai dati
del 2000). Dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non ha accesso ai
servizi igienici (sanitation), che sono oggi oltre 1 miliardo.
Entro il 2005 dovrà essere diminuito del 25% il numero dei malati di
Aids di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
Sancita anche l’eliminazione del piombo dalle benzine, dalle vernici e
da altre possibili sorgenti di contaminazione, per prevenire le malattie connesse.
Acqua potabile. Il Summit ha deciso che è
necessario dimezzare, entro il 2015, il numero di persone che non hanno accesso
all’acqua potabile e purificata. Entro il 2005 dovranno essere adottati
i piani per la gestione integrata ed efficiente delle risorse idriche.
Sostanze chimiche. Le Nazioni Unite dovranno darsi
da fare per far entrare in vigore entro il 2004 la Convenzione per l’eliminazione
delle Sostanze organiche persistenti, e in particolare per l’eliminazione
dei pesticidi. Le sostanze chimiche pericolose per l’ambiente dovranno
essere eliminate o ridotte entro il 2020, per “minimizzarne gli impatti”.
Energia. Il Piano di Azione raccomanda l’aumento
significativo della quota di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili
e la promozione delle tecnologie a basso impatto ambientale. Previsti anche:
la progressiva eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili che hanno effetti
negativi sull’ambiente, il monitoraggio e il coordinamento delle iniziative
per la promozione delle fonti rinnovabili. L’Unione Europea si è
impegnata volontariamente, insieme ad altri Paesi, ad aumentare la quota mondiale
di energia prodotta da fonti rinnovabili.
Cambiamenti climatici. Conferma degli obiettivi
della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, e in particolare della stabilizzazione,
a livelli non pericolosi per l’equilibrio del clima, della concentrazione
in atmosfera dell’anidride carbonica e degli altri gas-serra. Appello
alla ratifica del Protocollo di Kyoto ai Paesi che non lo hanno ancora fatto.
Biodiversità. Riconosciuta la necessità
della riduzione significativa della perdita di biodiversità entro il
2010.
Protezione degli oceani e pesca. Promossa l’applicazione
dell’approccio ecosistemico per la protezione della biodiversità
marina. Entro il 2012 dovranno essere adottate le strategie e le misure necessarie
per la generalizzazione della pesca sostenibile, mentre entro il 2004 dovrà
essere avviata una regolare attività di monitoraggio e valutazione dello
stato dell’ambiente marino.
Gli strumenti che il consesso delle Nazioni Unite
ha individuato per perseguire questi obiettivi sono l’istituzione di un
Fondo mondiale per la solidarietà, a carattere volontario, e la conferma
degli obiettivi sull’aiuto pubblico allo sviluppo concordati a Monterey,
che prevedono di raggiungere la quota dello 0,7% del PIL di stanziamento.
Vengono raccomandate inoltre la riduzione o la cancellazione del debito dei
Paesi in via di sviluppo, e in particolare di quelli più indebitati (Heaily
Indebted Poor Countries – HIPC). È suggerita l’applicazione
del “debt swaps”, che consiste nella riconversione del debito in
iniziative a sostegno dello sviluppo sostenibile. Sarà rifinanziato lo
strumento del Global Environmental Facility della Banca Mondiale, utilizzato
per supportare progetti di sviluppo sostenibile. L’Unione Europea ha assicurato
un impegno volontario integrativo.
Il Piano di Azione riconosce inoltre la necessità di riformare il sistema
dei sussidi al commercio internazionale, riducendo le facilitazioni ai prodotti
contrari alla sostenibilità. Contemporaneamente si raccomanda il coordinamento
tra Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e accordi ambientali multilaterali
per favorire la promozione nei mercati internazionali dei processi e dei prodotti
sostenibili.
In tema di riforma della governance, il Piano sottolinea la necessità
di assicurare la promozione della trasparenza e dell’efficienza delle
forme di governo e della gestione delle risorse, anche attraverso la realizzazione
di infrastrutture per l’accesso all’informazione (e-government).
Le azioni concrete in cui si tradurranno nel breve periodo le promesse di Johannesburg
sono 562 progetti di cooperazione allo sviluppo, approvati ufficialmente dall’ONU,
cui parteciperanno governi, imprese private, ong, agenzie delle nazioni unite,
finanziati in modo misto attraverso lo stanziamento di 1500 milioni di euro.
Le proposte italiane
Il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si è impegnato a portare
gli aiuti allo 0,39% del PIL entro il 2006 (come nel resto d’Europa),
con l’obiettivo di raggiungere lo 0,7%, e di annullare 4 miliardi di euro
di debito con i Paesi in via di sviluppo. Ha proposto l’introduzione della
detax, una misura volontaria che prevede la detassazione dell’1% sull’acquisto
di alcuni prodotti da devolvere ai Paesi in via di sviluppo, e l’e-government
per l’introduzione massiccia dell’amministrazione elettronica di
scuole, amministrazioni pubbliche, sistemi fiscali e giudiziari nei Paesi poveri.
Assenti le aziende italiane. Gli enti locali del nostro Paese, che hanno partecipato
alla Conferenza con il Coordinamento delle Agende 21, hanno contribuito all’approvazione
del documento “Local action moves the world – L’azione locale
muove il mondo” (che pubblichiamo in questo numero).
I principali nodi irrisolti
Energia. Lo scontro tra le due visioni di sviluppo
è divenuto insanabile sul fronte dell’energia. L’UE avrebbe
voluto inserire nel Piano d’Azione l’obiettivo della produzione
del 15% del fabbisogno globale attraverso energie rinnovabili e tecnologie pulite
entro il 2010. Gli Usa non si sono accontentati neppure di spostare il termine
al 2015. In conclusione, nel documento finale è presente solo un generico
richiamo ad aumentare il consumo di energia rinnovabile.
Liberalizzazione del commercio dei prodotti agricoli.
Altro nodo rimasto sostanzialmente irrisolto è quello della liberalizzazione
del commercio. I Paesi industrializzati hanno concesso ben poco in termini di
abolizione di dazi e dogane, e permane il problema delle sovvenzioni ai coltivatori
diretti europei, che ammontano a circa 350 miliardi di euro all’anno e
rendono gli altri prodotti, provenienti dal terzo mondo, non concorrenziali
sui mercati occidentali.
Obiettivi che si ripetono e non si raggiungono.
Molti degli obiettivi fissati attraverso il Piano d’Azione, come ad esempio
quello relativo alla percentuale del PIL da devolvere in aiuti allo sviluppo
o quello sul dimezzamento dei poveri nel mondo, sono conferme di impegni già
presi, che continuano a rimanere solo sulla carta.