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Rio de Janeiro, Kyoto, Stoccolma, Aalborg, fino a Seattle, Porto Alegre
e Johannesburg.
Il dibattito sullambiente e la sostenibilità si muove in una geografia
planetaria, e non cè conferenza internazionale, G8 o convegno di
una certa risonanza in cui non si discuta di questi temi.
Sono questioni che interessano la comunità globale, ma riguardano sempre
più ogni collettività, a prescindere dalla sua dimensione. Tanto
che, quando si studiano nuove formule per migliorare le politiche locali e si
affronta la cosiddetta riforma della governance, tutte le ricerche
e i programmi sono tenuti, in un modo o nellaltro, a prendere in considerazione
il problema ambientale.
Il tema è così ricorrente e generalizzato che a volte assume unimpronta
un po convenzionale, come un riconoscimento doveroso a un argomento di
moda o un richiamo, vagamente esorcistico, ai grandi principi della civiltà.
Ma lambiente è davvero un riferimento importante per migliorare
le politiche? Lattenzione ambientale è una vecchia rivendicazione
o unidea innovativa? E soprattutto, che cosa intendiamo per ambiente?
Questi interrogativi valgono in generale, ma diventano più stringenti
se ci si riferisce alle amministrazioni locali, cioè a quegli enti che
sono contemporaneamente depositari delle risorse ambientali e diretti responsabili
della loro gestione. Quindi, cosa significa per un ente locale occuparsi di
ambiente?
La questione è delicata perché oggi, in Italia, le diverse unità
di governo del territorio stanno assumendo un ruolo sempre più importante.
E un nuovo protagonismo che dipende da vari fattori.
Per una parte è riconducibile a una specie di crisi di adattamento
della rappresentatività politica a livello nazionale, che fatica a farsi
interprete dei bisogni, delle aspettative e dei valori che i cittadini vorrebbero
affidare alle istituzioni di governo. La dimensione internazionale della politica
e la nascita di organismi sovranazionali aumenta inevitabilmente la distanza
fisica e linguistica tra chi fa le scelte generali (i governi
centrali) e chi le applica nel territorio (le comunità locali). E diventa
necessario rinnovare rapidamente le formule di partecipazione per ristabilire
il collegamento con una realtà sociale sempre più mobile e articolata.
La situazione è diversa in una provincia, un comune o una piccola comunità
locale, dove possono essere attivate modalità di confronto e partecipazione
su misura, che rispecchiano le priorità concrete e possono
restituire ai cittadini la sensazione di costruire un rapporto reale con chi
li amministra.
Cè poi un altro elemento: le amministrazioni locali stanno sviluppando
una progettualità vivace e fantasiosa di cui non cè riscontro
a livello nazionale. Nascono nuove soluzioni per la gestione delle risorse,
lorganizzazione dei servizi, la rendicontazione delle attività
e il confronto pubblico.
Per questo diventa importante studiare gli strumenti più adatti per
la gestione delle politiche territoriali. La crescita dal basso
di soluzioni pertinenti e originali, la loro aggregazione in piani coordinati
che armonizzano progressivamente i diversi livelli delle amministrazioni, dal
Comune alla Provincia alla Regione, sono espressioni di una prospettiva che
sembra riaccendere il desiderio di politica dentro uno scenario
che altrimenti potrebbe risultare estraniante e ripetitivo.
E considerando le politiche territoriali, si ripropone la domanda iniziale:
è vero che il fattore ambiente è così determinante?
Un concetto che cambia
Spesso le parole troppo utilizzate si intridono dei diversi significati che,
a proposito o a sproposito, vengono loro attribuiti, e finiscono in una specie
di anonimato semantico, buono per tutti gli usi.
Ambiente è certamente una di queste. Ma la vaghezza del termine,
in questo caso, non dipende soltanto dallapprossimazione con cui se ne
discute negli ambiti più diversi, e neppure dalluso un po
strumentale che ne viene fatto quando si vorrebbe patinare di impegno politico
iniziative ordinarie o semplicemente doverose. Cè unaltra
causa più sostanziale, e sta nel fatto che negli ultimi decenni il termine
ha modificato sostanzialmente il proprio baricentro concettuale.
A partire dal primo ambientalismo, attraverso il dibattito sulla sostenibilità
e poi sulla globalizzazione, lidea stessa di ambiente ha cambiato faccia,
si è miscelata con altre idee, si è arricchita di complessità.
La visione delle cose ha guadagnato ampiezza a ogni passaggio, come aprendo
una porta dopo laltra fino a uscire allaperto: e oggi si affaccia
un nuovo scenario dove i diversi elementi del problema si ricompongono in modo
decisamente diverso dalle ipotesi iniziali.
In realtà, come in tutte le fasi di transizione culturale, questa nuova visione convive con quelle precedenti, che mantengono una loro ragion dessere, e così la discussione si muove tra almeno tre scenari diversi (per parlare solo di quelli principali), a ognuno dei quali corrispondono preoccupazioni differenti e politiche specifiche, ciascuna in qualche modo adeguata alla visione che risulta prevalente.
Primo scenario: Ambiente è linsieme
delle risorse naturali
E stata la prima concezione di ambiente, e quella più immediatamente
intuitiva.
Nasce da alcune analisi e constatazioni che si sono consolidate negli ultimi
decenni del secolo appena trascorso, e che hanno preso sempre maggior significato
man mano che cresceva la capacità di osservare il panorama mondiale nel
suo insieme.
Si è capito che il nostro pianeta è un sistema chiuso,
con risorse limitate e già gravemente compromesse, che i beni naturali
vanno preservati come il patrimonio più prezioso affidato alla nostra
specie, e che, per ottenere questo risultato, è indispensabile quantomeno
comprendere a fondo i complessi meccanismi che regolano lecosistema.
Sono concetti che ancora oggi fanno fatica ad essere assimilati, e che trenta o quarantanni fa avevano un significato esplosivo, perché in realtà stravolgono alcuni fondamenti della logica industriale e mercantile. La questione ambientale dimostra che alcune regole vanno cambiate. Bisogna abituarsi allidea che lo sviluppo economico quantomeno quello basato sul prelievo di risorse non può essere illimitato, come peraltro avevano supposto alcuni economisti. E bisogna fare i conti con il fatto che linquinamento crescente genera nuovi costi che la collettività non è disposta a subire e che vengono rimandati al mittente, trasformandosi in riduzione dei profitti delle imprese. A tutto ciò si aggiunge una crescente mobilitazione dellopinione pubblica, che rivendica il diritto di vivere in un ambiente sano e godibile.
In pratica, questo primo scenario richiede nuovi criteri di vigilanza, affinché
le risorse naturali siano salvaguardate e protette.
Si sviluppano quindi le politiche per la protezione dellambiente e prendono
corpo istituzioni e ambiti normativi per così dire specializzati
nellidentificare e proteggere ciò a cui il termine ambiente
si riferisce, cioè le risorse naturali. I governi dei paesi occidentali
si dotano di ministeri appositi e nascono leggi dedicate alla gestione del verde
e delle aree protette, al contenimento delle emissioni in atmosfera, alla protezione
delle acque, alla gestione dei rifiuti. Queste politiche e regolamentazioni
vengono definite ambientali, distinguendole da quelle che non sembrano
incidere direttamente sulle risorse naturali, come ad esempio la sanità,
i trasporti, la sicurezza sul lavoro o listruzione.
Parallelamente il tema penetra e si diffonde nel tessuto sociale. La cultura ambientale diventa movimento e nasce il primo ambientalismo, in difesa del patrimonio naturale e in opposizione a decisioni sbrigative che compromettono gli equilibri dellecosistema. Si moltiplicano i professionisti della denuncia, sociale o scientifica che sia, i quali formulano argomentazioni dettagliate e provocatorie, e a volte sconfinano in atteggiamenti maniacali, puntigliosi quanto approssimati. Il che offre lopportunità, a quelli che vorrebbero ignorare il problema, di aggrapparsi agli aspetti più esili del sentimento ambientalista per vanificarne il significato originario e alimentare lo stereotipo del militante fondamentalista: scarpe da tennis e striscione di denuncia, vegetariano, animalista, genericamente contro il progresso e propugnatore di un ritorno sognante alla vita agreste.
In realtà la cultura del primo ambientalismo ha meriti straordinari
e non va liquidata relegandola agli slogan protezionistici che spesso ne sono
stati il risultato più visibile. Proteggere le foreste tropicali, lacqua
degli oceani e le specie in estinzione non corrispondeva soltanto allesigenza
primaria di conservare queste risorse per il futuro, ma partecipava già
di unapprensione sistemica che altre discipline non avevano ancora sedimentato.
Preservare il panda (animale simbolo del WWF) è un modo per ricordare
che ogni specie svolge un ruolo fondamentale in relazione alle altre, che lecosistema
è legato a regole più complesse di quanto immaginiamo e che il
nostro rapporto con la natura, pur agendo in condizioni di sostanziale incertezza,
è spesso arrogante e grossolano.
Una specie di sineddoche ambientale, dove lattenzione puntuale a una parte
serve a ricordare le regole del tutto.
Secondo scenario: Ambiente è linterazione
tra le risorse naturali e le attività umane
E la concezione di ambiente che presenta i confini più incerti,
e che nasce da una specie di contrattazione tra competenze e discipline
diverse.
Il problema è: dove comincia e dove finisce la componente ambientale
nei diversi fenomeni della realtà che ci circonda? Quali attività,
e in che modo, incidono sullambiente? E a chi tocca la responsabilità
di gestione?
Mano a mano che vengono costruite le politiche ambientali, si apre un contenzioso
crescente, allinterno delle istituzioni pubbliche e private, per decidere
cosa debba essere considerato ambientale e cosa no, e quindi chi
debba adeguarsi a quelle politiche.
A livello legislativo la contraddizione è diventata molto evidente e
contribuisce a rendere instabile la nozione stessa di diritto. Il diritto ambientale,
infatti, dovrebbe innanzitutto identificare il proprio oggetto il bene
ambiente e poi regolare i comportamenti sociali affinché
quel bene risulti pienamente disponibile alla collettività. Ma non essendo
chiaro il punto di partenza, la normativa ambientale interviene in modo discontinuo,
guidata da criteri di emergenza, a volte su questioni che sono diventate ambientali
per differenza, semplicemente perché non potevano essere regolate altrove.
E diventa pervasiva, cioè assume la tendenza a invadere e contaminare
altre normative, penetrando nella generalità dellordinamento giuridico.
Così cominciano le contrattazioni tra i diversi enti preposti a regolare
il problema. Ad esempio, chi decide se i residui delle lavorazioni industriali
sono rifiuti o materia che rientra nel ciclo produttivo? Va valutato rispetto
ai processi di lavorazione (competenza: Ministero Attività Produttive)
o rispetto alla gestione dei rifiuti (competenza: Ministero Ambiente) o ancora
rispetto alla tutela della salute pubblica (competenza: Ministero Salute)? La
variante di valico appenninica è questione di viabilità (Infrastrutture)
o di impatto sul territorio (ancora Ambiente)? Le biotecnologie e gli OGM riguardano
la sanità pubblica e lalimentazione (Salute e Politiche Agricole)
o la regolazione della biodiversità (sempre Ambiente)?
Problemi analoghi si presentano a livello economico (considerando i costi ambientali,
fin dove si estende il costo di una attività o di un prodotto?), a livello
sociale (come e quanto deve essere pubblico il patrimonio naturale?), a livello
scientifico (quali dati e parametri vanno considerati per circoscrivere il problema?)
e così via.
In realtà questa visione corrisponde semplicemente a una fase più
diffusa e matura della cultura ambientale, che passa dalla considerazione del
proprio oggetto ristretto (la natura) alla esplorazione di tutti i fattori che
su quelloggetto influiscono.
Non si può sperare di proteggere le risorse naturali se non si interviene
sulle cause principali che ne stanno provocando il degrado, e se queste cause
stanno nella produzione industriale, nei servizi, nei trasporti, nelle infrastrutture,
allora occorre analizzare con cura ciascuno di questi ambiti.
In questo modo la politica ambientale assolve a due compiti: da un lato individua,
caso per caso, i fattori di maggiore impatto, e ne limita gli effetti; dallaltro
promuove investimenti per migliorare lo stato dellambiente e valorizzare
il patrimonio naturale. E conseguentemente propone la competitività
ambientale come una opportunità che può essere valorizzata
dal mercato.
In altre parole, muovendosi lungo la catena delle cause e degli effetti, lambiente chiama a rapporto le altre discipline per responsabilizzarle a tener conto delle conseguenze e degli impatti che potrebbero essere generati. E le altre branche del sapere cercano di conciliare se stesse con lambiente, dotandosi di strumenti, indicatori, controlli di gestione specifici. Insomma, di una cassetta degli attrezzi in grado di fornire risposte adeguate alla sfida.
Terzo scenario: Ambiente è linsieme
di tutte le risorse disponibili
E la concezione di ambiente che deriva dal concetto di sostenibilità,
dove gli elementi ambientali, sociali e economici sono praticamente indistinguibili.
Quando nel 1987 il Rapporto della Commissione Mondiale sullAmbiente e
lo Sviluppo fornì la prima definizione di sostenibilità, la formula
ebbe immediato successo per la sua folgorante semplicità. E sostenibile
quello sviluppo che fa fronte alle necessità del presente senza
compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare le proprie
esigenze. Un principio incontrovertibile di democrazia e buon senso. Il
fatto è che questa dichiarazione comporta un progetto politico di cui
è chiara solo la premessa, e cioè che se il modello di sviluppo
attuale viene riconosciuto e denunciato come non sostenibile, occorre cambiarlo.
Ma come? E questo cambiamento sostanziale quanti altri cambiamenti comporta
nellorganizzazione economica, politica e sociale?
Inizialmente il principio della sostenibilità è stato interpretato come un programma finalizzato alla conservazione delle risorse naturali, ma non appena si è cercato di tradurlo in politiche concrete ci si è resi conto che il problema è inestricabilmente intrecciato con scelte economiche e sociali di enorme portata. Tanto che, prima ancora di studiare le ricette ecologiche per la migliore conservazione, sembra necessario ridiscutere le regole della produzione, quelle del mercato, gli stili di vita e la struttura delle istituzioni politiche.
Il cambiamento di ottica, iniziato in sordina, apre a prospettive decisamente
nuove.
Rispetto al secondo scenario appena descritto si inverte lordine delle
priorità: in quel caso lambiente naturale sta ancora al centro
della scena e va a rintracciare in altri ambiti le componenti che lo riguardano,
per tornare a se stesso e garantire il proprio equilibrio. In questo scenario
invece occorre mettere al primo posto i fattori economici e politici
quelli cioè che dettano le regole del gioco cercando di conferire
loro unarmonia di sistema che sia compatibile con lecologia della
natura e della società.
Le risorse ambientali sono allorigine di gran parte delle ricchezze circolanti
nel pianeta? Allora non si può proteggerle o regolarle senza ritoccare
i diversi meccanismi che fino ad oggi hanno regolato la distribuzione delle
ricchezze. Anzi, la distribuzione delle risorse, di tutte le risorse, diventa
il problema centrale e per questo lambiente deve farsi interprete di nuovi
modelli di civiltà.
A questo punto, per affrontare seriamente la sostenibilità, dobbiamo
fare riferimento a un concetto decisamente inedito di ambiente,
che contiene indistintamente tutte le risorse disponibili, naturali o artificiali
che siano, considerando anche quelle monetarie. Un ambiente che ha come strumenti
regolatori tutti i settori della produzione e dei servizi, e che è vincolato
ai criteri culturali e politici che organizzano la nostra vita di relazione.
In pratica, un ambiente che assomiglia sempre di meno alla natura incontaminata
e tende gradualmente a sovrapporsi a quella che potremmo semplicemente chiamare
la realtà che ci circonda.
Una definizione sconcertante rispetto ai confini del primo ambientalismo, o
forse neppure una definizione, visto che gli orizzonti concettuali di questa
idea sono, per lappunto, ancora indefiniti. E uno scenario che,
già dalla sua enunciazione, può incutere una certa soggezione,
perché pone la cultura ambientale di fronte a una scommessa difficile
e la chiama a responsabilità alle quali non è ancora del tutto
preparata.
Va ricordato tuttavia che il cambiamento è già in atto: la sostenibilità
sta già trovando attuazione concreta attraverso scelte e orientamenti
internazionali che valutano lintegrazione dei fattori economici, politici
e ambientali. Esistono decine di organizzazioni e istituti specializzati che
affrontano la questione ambientale promuovendo un nuovo rapporto tra impresa
e ambiente, nuovi strumenti di mercato e nuove politiche di prodotto. Il VI
Programma di azione della Comunità europea in via dapprovazione
dopo il parere positivo espresso dal Consiglio dellUnione Europea nel
2001 propone, tra le direttrici prioritarie, lintegrazione delle
tematiche ambientali nelle altre politiche e la necessità di collaborare
con il mercato. Sono orientamenti che progrediscono senza enfasi e sbandieramenti,
con la discrezione e lapparente neutralità degli atti istituzionali,
ma portano con sé un rinnovamento di enorme portata.
Ciò nonostante questo quadro solleva molte obiezioni. Perché mai
la politica ambientale che non ha ottenuto successi così clamorosi
dovrebbe candidarsi, lei, a divenire paradigma per qualunque politica
futura? E poi, armonizzare le regole sociali e economiche in una nuova ecologia
della politica è unutopia pericolosa; non si corre il rischio
di seppellire il libero arbitrio in una specie di totalitarismo ambientale?
Obiezioni legittime. Ma la titolarità della politica ambientale a investirsi
di questo ruolo non dipende soltanto dalle idee dellambientalismo. Cè
qualcosa di più sostanziale, che non è legato alle teorie ma piuttosto
al processo reale da cui sono scaturite, al fatto che lambiente ha richiesto
di analizzare il contesto in cui ci muoviamo, ci ha imposto di guardare con
rispetto ciò che è diverso, valutare relazioni fragili e dirompenti
che ci eravamo dimenticati di considerare e che ripropongono, in una nuova luce,
la necessità della politica.
Lambiente ha riportato a nozione comune la consapevolezza di quella complessità
che negli anni più recenti ha invaso e sovvertito la fisica, la biologia,
le scienze cognitive e in generale la struttura del pensiero contemporaneo.
Ha fatto i primi passi nel modo più tangibile e concreto. Potrebbe farcela.
Gestire la transizione
Come si diceva allinizio, i tre scenari descritti (insieme ad altri intermedi
o collaterali) si sovrappongono e convivono. Ciascuno rivendica una sua funzione,
e in effetti la svolge. Sono le prospettive che cambiano. Infatti, a seconda
dello scenario a cui si fa riferimento, la strategia che ne consegue mobilita
forze sociali, istituzioni e politiche differenti.
Potremmo per il momento chiamarli Ambiente Primario, Ambiente
Incrementale e Ambiente Sociale, sperando in altri nomi più
convincenti che troveremo nel tempo. Limportante è non fare confusione.
Sapere, ogni volta, a quale scenario si fa riferimento per riuscire a collocare
i programmi e gli obiettivi in un quadro comprensibile. E condividere con chiarezza
gli strumenti che si sceglie di utilizzare.
Educare le idee (far capire il problema)
Il primo scenario, ad esempio, continua ad essere fondamentale per tutti
coloro che ancora non si sono resi conto che le risorse naturali sono un bene
straordinario quanto fragile. E non sono pochi. Lidea delluomo dominatore,
che combatte la natura e la assoggetta al proprio servizio, è dura a
morire.
A tuttoggi sono moltissime le occasioni in cui la difesa della natura
deve essere sostenuta con forza, come fosse un concetto inedito. Linquinamento
selvaggio non è debellato, la disinformazione e lindifferenza persistono
e gli interventi per arginare i grandi rischi del pianeta sono ancora lontani.
Da molti punti di vista potremmo dire che è ancora quasi tutto da fare.
E vero. Tuttavia la visione legata esclusivamente all Ambiente
Primario è un po invecchiata nel tempo, perché non
riesce a sganciarsi da un atteggiamento allarmistico e difensivo. Puntare tutto
su un concetto, certamente nevralgico, come quello di protezione è pericoloso
perché non apre prospettive. Il suo obiettivo finale coincide col suo
stesso punto di partenza: salvare la natura. E il suo strumento immediato è
un sistema di denunce e controlli.
Ma se dovessimo dire che lambientalismo serve solo a denunciare, dovremmo
contestualmente riconoscere che ha già svolto la sua funzione ed è
pronto a passare le consegne ad altre politiche che siano in grado di disegnare
il futuro. Come è avvenuto per la grande battaglia contro lo schiavismo,
o sta avvenendo per il movimento femminista.
Insomma, con lambientalismo di denuncia non ci si può fare un programma
strategico e daltro lato senza un programma costruttivo e concreto la
denuncia non avrà mai un peso sufficiente a raggiungere lobiettivo
che si propone. Per questo il primo scenario richiede necessariamente qualcosaltro.
Mirare al futuro (preparare quello che si intuisce)
Il terzo scenario, centrato sull Ambiente Sociale, propone
unintuizione affascinante che ci vede ancora impreparati.
Va ricordato che esso non nasce solo dallidea della sostenibilità,
ma anche dalla spinta proveniente dal dibattito sulla globalizzazione. La nuova
cultura ambientale e la critica a una globalizzazione non governata partono
dalle stesse domande, e condividono lesperienza di non possedere ancora
un linguaggio e un modello nel quale collocare le risposte.
Entrambe si confrontano con una varietà enormemente articolata di problemi
e fenomeni diversi, partendo da una sola certezza: che considerare ogni pezzo
del mosaico come a sé stante non può portare a soluzioni. Anzi,
che le diseguaglianze, le distorsioni e le prevaricazioni che permangono nella
nostra realtà globalizzata provengono dal fatto di ragionare ancora per
ambiti separati. E per questo di volta in volta per incapacità
o per scelta vengono isolati segmenti di realtà, perdendo il nesso
con ciò che determina il loro equilibrio o addirittura il loro significato.
Inoltre, entrambe le culture arrivano, attraverso percorsi differenti, a mettere
in discussione il modo attuale di distribuire le risorse. Dal punto di vista
delleconomia globale si tratta di ridistribuire le ricchezze, abolendo
le forme più intollerabili di sfruttamento del Terzo Mondo. Dal punto
di vista ambientale, lunico modo per preservare il patrimonio naturale
da speculazioni distruttive è riaffidarlo alla responsabilità
comune, secondo forme di partecipazione e gestione che vanno ancora individuate.
Non basta: col crescere dellanalisi entrambe le visioni si affacciano
a un problema che è forse il principale tabù delle civiltà
occidentali, quello cioè di rivedere i principi che regolano il confine
tra proprietà privata e bene collettivo. Un confine ereditato dai secoli
passati e assunto sbrigativamente come dogma dalle discipline economiche, che
oggi sono costrette a inventare artifici linguistici e contabili (come le esternalità
positive o negative) in attesa di riformare la propria sintassi.
Anche in questo caso va ricordato che molti interventi correttivi sono già
in corso, utilizzando gli strumenti ordinari offerti dalla normativa
vigente e dai cosiddetti accordi volontari. Quando un comune decide
se unarea va destinata a servizi comuni o a edilizia privata sta già
operando in termini di distribuzione delle risorse. Quando una norma spinge
unazienda a modificare il proprio modo di produzione per limitare le emissioni
in atmosfera, sta già agendo sul confine tra proprietà privata
e bene collettivo. Le azioni esistono: è il loro coordinamento
a sistema che deve essere ancora analizzato e compiuto.
Questo scenario, quindi, rappresenta la crescente consapevolezza del problema
ma non ancora quella delle soluzioni. E già molto, perché
ci avverte che sta avvenendo un cambiamento di scala nel modo di considerare
e affrontare le questioni del nostro tempo.
Ma il cambiamento di scala richiede una strumentazione adeguata, che a sua volta
ha bisogno di essere collaudata e filtrata attraverso una molteplicità
di esperienze e tentativi diversi. Non si può, in un colpo solo, cambiare
culture e civiltà che si sono stratificate nei secoli. Occorrono nuove
competenze e nuove formule di partecipazione al problema.
E qui prende significato quello che abbiamo chiamato secondo scenario.
Provare e riprovare (con la cassetta degli
attrezzi)
Lidea che lambiente sia una realtà complessa, di cui occorre
rintracciare i nessi in tutta la realtà circostante, è quella
che corrisponde al modo attuale di operare della politica ambientale.
Di fatto siamo in una realtà di transizione, dove si lavora allinterno
del secondo scenario cercando di prendere la mira sul terzo.
Il primo impegno è quello di ridefinire i confini della responsabilità
ambientale e cogliere le relazioni tra questa e le altre responsabilità
sociali, economiche e politiche che disegnano il nostro presente.
E poi occorre, caso per caso, trovare le formule per amministrare questa nuova
miscela di ruoli e di diritti.
E questo linsieme di operazioni che vengono raccolte sotto il titolo
generale di riforma della governance. Si tratta di una formula che
fa riferimento soprattutto alle strutture di governo locale, che sono il terreno
ideale di sperimentazione in quanto presentano capacità di adattamento
e progettualità molto superiori a quelle delle amministrazioni centrali.
Le attività e i modelli proposti sono molto numerosi, con grande vivacità
di discussioni e confronti. Da un lato esistono studi, consolidati a livello
internazionale, per aggregare in modo integrato i diversi fattori ambientali,
economici e sociali implicati. Dallaltro vengono sperimentati strumenti
di gestione che facilitano la valutazione dei problemi e le decisioni conseguenti
da parte degli amministratori.
Così sono nati innumerevoli set di indicatori, a livello locale o globale,
e nuovi modelli per contare e rendicontare le spese e gli investimenti
sul tema, come la Contabilità ambientale cui è dedicato il Progetto
CLEAR. Contabilizzare gli aspetti economici e sociali insieme a quelli ambientali,
integrandoli nel processo ordinario di gestione, è uno strumento tanto
più potente ed efficace quanto più si normalizza nelle
procedure decisionali di un ente.
Si aggiungono poi altri strumenti per la qualificazione ambientale (certificazioni,
registrazione EMAS), che rendono riconoscibili le organizzazioni che abbiano
adottato un Sistema di Gestione Ambientale, con facilitazioni procedurali e
incentivi.
Questo repertorio di strumenti si integra con altre sperimentazioni a livello
sociale, rivolte alla ricerca di nuovi modelli di partecipazione e democrazia
diretta. Dalle Agende 21 Locali alle varie forme di concertazione e patti territoriali,
fino a nuove proposte di autogoverno, come la Carta del nuovo municipio
presentata da Mercedes Bresso al World Social Forum di Porto Alegre.
Metodi, strumenti e modelli spesso non sono coerenti tra loro, perché,
per lappunto, fanno riferimento a un concetto di ambiente che di volta
in volta ha dimensioni e significati diversi. Ci sono inevitabili impacci che
derivano dalla rigidità delle discipline disponibili, spesso forzate
a valutare categorie non previste. Si è ancora costretti, ad esempio,
a considerare separatamente gli aspetti fisici da quelli monetari, perché
non sono disponibili strumenti validati in grado di integrarli.
E in tutto questo va creandosi una distinzione sempre più netta tra lidea
di sostenibilità e quella di uno sviluppo sostenibile, in
quanto molti ritengono che il miglioramento sociale non debba per forza essere
legato alla crescita economica, cioè alla quantità dei beni scambiati
nel mercato.
Insomma, nella discussione che stiamo vivendo si accumulano fattori diversi
che interferiscono reciprocamente e compongono un quadro estremamente mobile.
Il vantaggio di questo scenario, apparentemente difficile e incerto, sta nella
sua continua capacità di interrogare il problema, approfondire nessi
e correlazioni che rimettono ogni volta in discussione le categorie di riferimento.
Il che rende più complessa lelaborazione, ma produce risultati
che possono realmente disegnare le regole del nostro futuro e testimonia del
fatto che stiamo vivendo una fase storica che sarà difficile dimenticare.